Ciao! Sono Massimo Bernardi, piacere, questa è L’ITALIA (fa qualcosa alle persone), newsletter su cibo, vino, ristoranti e piccoli lussi della vita quotidiana in Italia che esce fissa il giovedì pomeriggio. Tranne ieri, primo maggio.
» Overtourism «
Il ritorno (1)
Dal Quotidiano della Costiera di ieri:
“Primo Maggio ad Amalfi. Situazione oramai insostenibile”.
(Foto: Enza Vollono)
Se l’attesa tra un numero e l’altro ti sembra insopportabile, ho la cura: condividi l’ITALIA con un amico e convincilo a iscriversi.
» Panna sul gelato «
Sì o no, gratis o a pagamento
Dopo aver compulsato un impolverato computer anni Duemila ho esalato la tormentata e già molto discussa questione: panna sul gelato gratis o a pagamento?
Nel 2003 Guido Martinetti e Federico Grom inaugurano la prima gelateria al centro di Torino. Lo scrivo perché è consuetudine attribuire a Grom la rottura di un tabù: il pagamento della panna sul gelato a Roma. Città porto franco per ragioni difficili da indagare, fatto sta che è così: nella capitale la panna non si paga.
Perché riportare in vita un impiccio morto e sepolto? Non è il rimpianto di un tempo perduto, ma nei miei social, a margine di una discussione su cosa rovina il gelato, si è accesa una gagliarda discussione che ha evidenziato una cosa: il prolungato conflitto tra opposte fazioni non è risolto.
Perciò mi sono avventurato nella ricerca di materiale a vantaggio o svantaggio delle dispute ancora aperte, che sono quattro:
Panna sul gelato a pagamento
Panna sul gelato gratis
Panna sul gelato: non ci va
Panna sul gelato: ci va
Tutto questo per cosa? Per aiutarti a prendere posizione una volta per tutte. Avvertimento finale: negli ultimi tre anni il prezzo del gelato è aumentato e parecchio, oggi costa circa 25 euro per chilo. Cominciamo.
La panna sul gelato si paga vs. la panna sul gelato non si paga (aka: Roma vs Milano)
A Milano la panna si paga da 50 centesimi a 1 euro. Perché nell’economia del gelato, che costa mediamente 3 euro, la panna ha un’incidenza non sostenibile se gratis.
A Roma la panna è gratis. Perché costa circa 5 € al litro, e con un litro si ottengono 1,5 kg di panna montata. Una palettata corrisponde a pochi grammi. Con 1,5 kg di panna montata si guarniscono 35 gelati.
Milano. Qualsiasi aggiunta, tra ingredienti e lavoro, ha un costo aziendale e ancor più oggi, dopo gli aumenti, sono tutti fattori da tenere sotto controllo.
Roma. Manca il lato emotivo nella panna a pagamento, è un servizio importante per il romano, una tradizione, altrimenti sarebbe come dirgli che deve pagare il cono. A Roma, in genere, non si paga nemmeno la doppia panna, quella che va in fondo, dentro al cono.
Milano. Il controllo di gestione e l’ammortamento dei costi contempla anche l’impiego del macchinario, il tempo per montare la panna, lo zucchero per chi lo mette.
Roma. Sono imprenditori anche nella capitale, e fanno in modo che il costo venga assorbito nel prezzo del gelato. Da segnalare il caso Fata Morgana, nelle gelaterie di Maria Agnese Spagnuolo è gratis la panna, la doppia panna, e anche l’etto di panna per accompagnare la vaschetta d’asporto.
La panna sul gelato ci va vs. la panna sul gelato non ci va
Panna sì: la panna fresca e poco zuccherata servita dalla carapina è un peccato di gola che è giusto concedersi.
Panna no: la panna nasconde l’abilità di chi prepara un gelato artigianale fatto bene.
Panna sì: la panna si combina bene con gusti forti come cioccolato, fragola, ciliegia, lampone, mirtillo, bacio, mora, gianduia, ma anche amarena e zabaglione.
Panna no: il gelato artigianale va apprezzato in modalità minimalista. Vale a dire: coppetta, un gusto solo per non rischiare che si mischi al resto confondendo i sapori, e spogliato di ogni sovrastruttura: glasse, coperture di cioccolato o pistacchio fuso, wafer, conetti vari. Ovviamente, senza panna.
>> Cala Goloritzè <<
La spiaggia più bella del mondo
Avevo contestato Traveller, illustre mensile di viaggi (Condè Nast), reo di aver messo in cima alla lista delle 35 spiagge più belle d’Italia Cala Goloritzè, zona est della Sardegna. Avevo anche, come ricorderai se sei un lettore attento, approntato una controlista delle 10 spiagge più belle, limitata alla sola Sardegna.
Mal me ne incoglie. Ora Cala Goloritzè, la distesa di ciottoli bianchi dall'acqua cristallina, è la più bella spiaggia del mondo secondo la classifica «The World's 50 Best Beaches 2025».
La lingua di sabbia tra le rocce dell'Ogliastra, raggiungibile solo a piedi o a nuoto, ha superato i lidi della Polinesia e delle Seychelles per la sua «bellezza selvaggia e straordinariamente preservata». Al 50° posto c'è anche La Pelosa di Stintino, nel Sassarese.
» Overtourism «
Il ritorno (2)
Pov: decidi di fare un trekking alle Cinque Terre nel weekend del ponte 25/Aprile - 1/Maggio. Che idea di mer*a, che idea di mer*a. (franco_masterchef14)
Se la newsletter ti piace mandala in giro: è il modo migliore per pubblicizzarla.
>> La Roma pre-Conclave <<
Fantapapa, ristoranti e gelati
Il Conclave è diventato un momento di cultura pop, con tanto di meme, video e dibattiti online. TikTok ha gettato benzina sul fuoco, con video di cardinali che attraversano Piazza San Pietro come se stessero andando sul palco del Coachella festival. Non basta: in attesa del 7 maggio, data d’inizio del Conclave, spopola il Fantapapa.
Il gioco, gratuito e senza premi, ha attirato 60.000 partecipanti, che possono scegliere 11 cardinali per formare la propria squadra, pronosticare il nuovo Papa, la data della fumata bianca, il nome del pontefice e il tono del suo primo discorso, tradizionale o progressista.
In testa c’è il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, 69 anni, seguito da Pietro Parolin, Luis Antonio Tagle e Pierbattista Pizzaballa, tutti tra i favoriti dei bookmaker. Curiosità: la maggior parte dei follower del profilo Instagram del Fantapapa sono donne.
La clausura nella Sistina per il Conclave segue regole ferree: niente finestre aperte, giornali o tv, e attenzione al cibo per evitare mal di pancia.
«A San Pietro, mangiando nei ristoranti, capita di avere mal di pancia. Pensate cosa sarebbe avere un mal di pancia durante il Conclave», ha raccontato al Corriere il cardinale Mauro Piacenza, 80 anni, presente all’elezione di Papa Francesco. «Ma la cucina delle suore di Santa Marta è affidabile: ricordo la minestra di verdure e poi a cena la scaloppina».
Nella Roma pre-Conclave i cardinali frequentano ristoranti e gelaterie. Tra i locali preferiti, La Rustichella in via Emo e Marcantonio a Borgo Pio, celebre tra le berrette italiane per la sua “mitologica carbonara”.
«Ho consigliato agli amici inglesi e americani di non indossare la veste rossa e di nascondere l’anello cardinalizio: gli osti, altrimenti, alzano i prezzi, specie sul vino», ha rivelato l’arcivescovo in pensione Anselmo Guido Pecorari, 79 anni.
Non mancano scene surreali, come nella storica Latteria Giuliani di Borgo Pio, dove due cardinali, entrati per un gelato, sono stati circondati da clienti inginocchiati in cerca di benedizioni. Tra sorrisi e imbarazzo, crema e pistacchio hanno rischiato di sciogliersi.
» Cosa ti rovina la cena? «
Nel ristorante stellato?
Cenare in un ristorante raffinato in buona compagnia? Per me non c’è niente di meglio. Eppure, capitano cose, come queste 10, che rovinano l’appetito persino nei ristoranti stellati. Vi ritrovate? E perché vi ritrovate? Oppure, vi infastidiscono altre pratiche indigeste? Beh è il momento di tirarle fuori.
1 - Camerieri declamanti. Se voglio spiegazioni sui piatti che scelgo le chiedo al momento dell’ordine, risparmiatemi le declamazioni. E per favore, non inondatemi di “Tutto bene?”, nemmeno di sguardi complici: “ottima scelta”. Perché se avessi scelto un piatto diverso mi avresti detto che è una schifezza?
2 - Microporzioni. Se ordino alla carta, facciamo che le porzioni siano meno micro di quelle pensate per il menù degustazione, ben più lungo e articolato. Giusto? Sì, ma solo a parole.
3 - Vicini di tavolo molesti. Il barzellettiere torrenziale, il fanfarone ubriaco e sbruffoneggiante, la coppia che litiga, l’idiota che perseguita il cameriere.
4 - Carta di credito. I no show (persone che prenotano ma non si presentano nei ristoranti) hanno un impatto pesante sull’attività dei ristoratori. Ma come la mettiamo con quelli che, infastiditi, rinunciano a prenotare se gli viene chiesto il numero della carta di credito?
5 - Tavoli sfigati (in gergo la famigerata zona “Siberia”). Di rado, ma capitano anche nei ristoranti stellati. Quali sono i tavoli sfigati? Quelli accanto al bagno o alla cucina, dove è obbligatorio spostarsi ogni 3×2 per lasciare il passo a camerieri agitati o adulti dissenterici. Quelli accanto alla portafinestra del dehors, lì dove lo spiffero è sempre in agguato. Quelli prospicenti l’addio al celibato di trentenni sbronzi, che finiscono sempre per cantare filastrocche sconce.
6 - Menu degustazione lunghi come quaresime. Cerco di ordinare sempre alla carta perché preferisco scegliere: niente menu imposti. Detesto essere preso in ostaggio per un tempo indefinito. I menù degustazione causa di piaghe da decubito me li risparmio volentieri.
7 - Igiene. Gli odori corporali di alcuni addetti al servizio. Nella dotazione di servizio di un cameriere un buon deodorante non deve mancare. E i bagni sporchi, per favore no. Visto che ci siamo: gli asciugamani a aria calda sono insopportabili.
8 - Ricarichi imbarazzanti sul prezzo del vino. Hanno l’effetto collaterale di togliermi la voglia di bere, e ce ne vuole! Il vino è diventato ovunque una fonte di guadagno superiore al cibo. il Valpolicella Rio Albo Ca’ Rugate costa 8 euro, nessun ristoratore può farmelo pagare 50.
9) Il servizio pomposo. Cloche, argenti e tutta la parafernalia del polveroso lusso novecentista. I camerieri alzano contemporaneamente tutte le cloche di un tavolo neanche fossero sincronette nella finale del nuoto sincronizzato. Ragazzi rimettete a posto gli orologi, il tempo è passato e, a parte qualche indirizzo di antiche tradizioni dove si è giustamente fermato, l’eleganza oggi è un’altra cosa.
Sembra la sceneggiatura di un film ma è tutto vero. Martedì scorso cinque suore di clausura hanno abbandonato il convento dei Santi Gervasio e Protasio a San Giacomo di Veglia, frazione di Vittorio Veneto. È il convento del Prosecco! Con un vigneto interno che produce 9.000 bottiglie. I contrasti sarebbero dovuti al piglio manageriale della badessa, Aline Pereira, 41 anni, laureata in economia, ora commissariata dall’abate generale.
>> L’assalto ai forni <<
E a Lorenza Roiati
Lorenza Roiati, titolare del panificio L’assalto ai forni di Ascoli, è stata identificata due volte dalle forze dell’ordine per avere esposto un «lenzuolo antifascista» il 25 aprile. Poi è stata presa di mira da striscioni di insulti in alcune vie della città.
Non voglio buttarla in politica, credo sia significativamente fuori luogo in una newsletter come questa.
Però come cittadino mi ha colpito la mobilitazione sui social seguita alla vicenda, che poi ha attirato l’attenzione dei media nazionali e della politica. Nei giorni scorsi molte persone hanno visitato il panificio di Ascoli Piceno in sostegno a Lorenza Roiati, è stata anche indetta una manifestazione di solidarietà il 3 maggio.
Se vuoi approfondire ti suggerisco la lettura del post di Arianna Ciccone, fondatrice del Festival internazionale del Giornalismo di Perugia e del sito Valigia Blu. Dal quale estraggo solo questa citazione:
“Come cittadini possiamo far vedere che siamo sempre pronti a difendere il diritto di espressione di tutti”.
» L’Antilingua «
Parte seconda
“La tradizione nell’innovazione”, ”le eccellenze del territorio, argh… maledetti, maledetti, voi e la vostra antilingua!
Perché luogo comune vuole che l’italiano, anche quello del cibo, sia una lingua meravigliosa, e in quel luogo comune c’è molto di vero. Il problema però sono gli italiani.
Sì, il problema siamo noi, creator, influencer, giornalisti, critici gastronomici, e il nostro uso dell’antilingua, che a volte genera mostri: i mostri sono le parole proibite che ti chiedo di aiutarmi a raccogliere.
Seguimi, ti prego, in questa ricerca del brutto, non possiamo permettere che:
“Sono passato da un paese dove ho mangiato un panino con quel che avevano”
diventi oggi:
“Un percorso esperienziale alla riscoperta degli antichi borghi con degustazione delle eccellenze del territorio”.
Cominciamo dal vino.
C’è un momento preciso nella carriera di chi lavora nel mondo del vino in cui ci si rende conto di non parlare più come persone normali.
Il lessico non è più comunicazione, diventa l’esatto contrario. Serve a creare un’aura di esclusività, a tracciare i confini di un’élite, a controllare il modo di pensare, a inventare un mondo e a conferire autorità a chi lo padroneggia. Ciò che diciamo non veicola informazioni, afferma il nostro ruolo.
Per i non iniziati è frustrante. C’è molto da imparare. Tutti quei discorsi su lieviti indigeni, solfiti, filtrazione, rifermentazione in bottiglia. E quella dannata parola: ma cosa sarà mai una zonazione?
È una lingua ampollosa, vecchia, presuntuosa, barocca, anche piuttosto scema. Cosa dovresti capire da una descrizione dei sentori che sembra una parodia di Battiato?
“Miele di eucalipto di Okkaido, sigarette egiziane di contrabbando, fiori d’arancio appassiti tra i muschi”.
E siamo al cibo.
Parole:
UMAMI. Molto usurato: tutto è umami oggi. Spiegare cos’è richiede supercazzole sempre più spericolate. Es. “L’umami indotto soprattutto dal sinergismo tra glutammato e inosinato” (Vogue)
PLURIPREMIATO. Ubiquo, usato per tessere le lodi di chiunque e di qualunque cosa. Es. pizzaiolo, chef, ristorante, “il nostro parmigiano pluripremiato”.
ICONICO. Non ci basta un iconico in ogni recensione lo vogliamo in ogni frase.
LOCATION/LOCHESCION. Da collocare tra gli anglicismi più stupidi, disponendo l’italiano di una vasta gamma di dignitosi sinonimi sostitutivi: luogo, sito, posto, locale.
GUSTATIVO. Il “percorso gustativo” diventa sinonimo di menu degustazione. Es. ”La mise en place crea un vero e proprio mood affine al percorso gustativo. (La Cucina Italiana).
ESPERIENZA. EXPERIENCE. ESPERIENZIALE. Non si mangia più, come come non si viaggia, non si apprende: si fa un’esperienza, un experience, nella variante degli uffici stampa milanesi.
IL FOOD. Perché, e da quando, il settore alimentare, l’industria gastronomica, il mondo della ristorazione sono diventati “il food“? (E “il non food” l’industria non alimentare).
ECCELLENZA. La usi e ti allinei immediatamente con Il più tronfio, vuoto, vomitevole politichese. Questo è un esempio molto calzante: “Promozione e valorizzazione dell’enogastronomia e delle tipicità regionali come turismo esperienziale”, un progetto interregionale di eccellenza (Regione Veneto). Ancora più terribile se usata in combinazione con altre parole usurate. Es. L’eccellenza del territorio.
IMMERSIVO. Si riferisce, dovrei dire si riferiva, essendosi propagato come un virus verso significati contigui, a una situazione che coinvolge più di un senso. Le solite scorciatoie linguistiche hanno fatto diventare immersivi ristoranti, menu degustazione, addirittura i cocktail. Immersivo usato al posto di coinvolgente è così pesante che ci potrebbe trascinare a fondo con sé. Riemergiamo.
MATERIA PRIMA. Come se ne esistesse una seconda.
SEMINALE/FONDANTE. Nella lingua di Dante “seminale” significa “relativo allo sperma”, ed è l’aggettivo “fondante” a tradurre l’inglese “seminal”. Così come il periodo di dieci anni si chiama decennio, la decade sono dieci giorni.
E per finire le espressioni piene di frasi fatte, di banalità scambiate per moda, di ubbie scadenti.
nel cuore di; immerso nel verde; vero e proprio; tanta roba; da solo vale il viaggio; vista mozzafiato; alzare l’asticella; senza se e senza ma; a 360 gradi; senza soluzione di continuità; di cui uno macchiato; tradizione rivisitata, sapori di una volta, cuba (ammonta a) es. un weekend da Cannavacciuolo cuba 3 kappa cena compresa; implementare qualunque cosa, es. “implementare un progetto gastronomico richiede una pianificazione strategica”; mashup/mashappare, es. “quel mixologist è in grado di mashappare qualunque drink”.
P.S.
Il link più cliccato della scorsa newsletter è stato quello del New York Times sul biglietto d’ingresso a Venezia.
Ho finito qui per oggi. Inizia bene il mese, noi ci si ritrova qui giovedì pomeriggio 8 maggio.